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La Banda del miele

(di Sergio D’Agostino *)

Credevamo (Noi apicoltori) di poter dormire sonni tranquilli riguardo ai furti. La mente corre a quelli consumati nel 2014: furono rubati circa 600 alveari. Quelli realmente recuperati e riconsegnati agli apicoltori ammontarono a poco meno di 300. I soggetti responsabili si guardarono bene di dichiarare dove era il resto della refurtiva. Infatti, dopo pochi giorni se ne disfecero gettandoli in Arno, nel Canale Scormatore e in altri fiumiciattoli minori del territorio tra Lucca e Pisa. Una vera e propria strage. Perché quel credevamo? Perché in questi ultimi giorni se ne sono verificati altri. Innanzitutto a Pomaia, ai danni dell’azienda di Ottavio Verucci, e a Castellina Marittima, in un terreno affittato alla ditta di proprietà di Chiara Cioni, residente a Fucecchio. Entrambi i furti sono avvenuti in un periodo di tempo che va dal 18 gennaio al 28 gennaio, quando gli apicoltori si sono accorti che mancavano le arnie e il miele. E ancora. Altro furto nelle campagne del paese di  Peccioli, ai danni dell’Apicoltore Furio Bacci (ho qui davanti copia della denuncia presentata presso la  Stazione dei Carabinieri di Peccioli).

L’anno 2016 è stato (come stagione apistica) il peggiore degli ultimi 50 anni. I danni dovuti in parte al clima (eccessive piogge primaverili e caldo torrido estivo), ai farmaci apistici per le patologie dell’alveare, che non hanno dato i risultati sperati, hanno determinato una moria di alveari intorno al 50% su base nazionale, con un calo del 70% nella produzione di miele. Era scritto che la situazione disastrosa avrebbe portato a determinare atti delinquenziali da parte di “qualcuno”.

Confidiamo nelle azioni di Carabinieri e Forestale per affrancare alla giustizia i responsabili. collage-foto-furti

L’A.N.A.I. è sempre stata in prima linea per difendere gli interessi non solo degli Associati ma di tutti gli Apicoltori anche se appartenenti ad altre associazioni. Va ricordato che le nostre azioni hanno portato (anche lo scorso anno) al recupero di alveari e identificazione dei responsabili dei furti. Numerose sono le telefonate che ricevo da tutta Italia nelle quali mi si chiede come procedere in caso di furti e quali sono le strategie che abbiamo messo in campo per contenere il devastante fenomeno.  Capisco che la rabbia porta indubbiamente a esprimersi con violenza. Invito tutti a essere molto riflessi e a NON compiere azioni che dalla ragione ci potrebbero portare al torto. I dubbi e i sospetti devono essere veicolati alle Forze dell’Ordine. A loro spettano le indagini.

A Voi di Apinsieme, con le Vostre Competenze, chiediamo di tenere alta l’attenzione, invitando i Vostri lettori a essere collaborativi con le Forze dell’Ordine. Noi apicoltori non siamo solo i detentori delle api, siamo i loro guardiani. La loro vita e vitalità incide nella qualità della vita del mondo intero.

Vi chiedo di fare sistema e di collaborare. Dio vi renda merito per quanto state facendo.  Le foto allegate servono a far comprendere quale sia la tipologia di arnie rubate.

Sergio D’Agostino, presidente A.N.A.I.


(* ndr: nella foto di repertorio presente in apertura Sergio D’Agostino durante uno dei ritrovamenti di arnie dei furti precedenti)

Apinsieme
Quelli che vogliono far volare insieme le Api

2 thoughts on “La Banda del miele

  1. Non capisco la considerazione: “[…] ai farmaci apistici per le patologie dell’alveare, che non hanno dato i risultati sperati […]”. Ora, gli unici farmaci per le patologie dell’alveare in commercio in Italia, legali, sono i varroacidi a diverso p.a. Questi SE USATI CORRETTAMENTE riducono sensibilmente la popolazione di acari, con un efficacia anche superiore al 90% in diversi casi (casi di farmacoresistenza esclusi, che comunque l’apicoltore dovrebbe conoscere e che in presenza di una rotazione dei principi attivi non dovrebbero sussistere). Il punto è: VENGONO USATI CORRETTAMENTE? Per la mia esperienza personale, avendo per anni seguito il dibattito sulle patologie apistiche, direi di no. O meglio, vi è una larga parte di apicoltori che non usa correttamente quanto offerto dal mercato o addirittura usa prodotti non consentiti (e inefficaci). Secondo, se con “non hanno dati i risultati sperati” alludiamo a spopolamenti tardo estivi/autunnali o collassi, verosimilmente le cause debbono essere rintracciate nelle virosi, che possono essere controllate e gestite solo ripensando le tempistiche dei trattamenti varroacidi, come scrivo da anni. Andare avanti con i soliti gocciolati in estate o i timoli, non impedisce che un alveare crolli anche in assenza teorica di Varroa ma per effetto di un’accumulo di virus e patogeni come N. ceranae, che ormai seguono dei propri percorsi di infezione dal periodo primaverile in poi. Di Prisco osserva che DWV (Virus delle ali deformi) è rinvenibile su circa il 10% delle api fino a metà agosto, mentre da settembre in poi è invece rinvenibile sul 97% delle api, con il 100% delle api infette che si raggiunge in ottobre. Pertanto se l’apicoltore non fa nulla nei mesi precedenti per evitare che in agosto si arrivi a quella soglia indicativa del 10% (in realtà nel tardo inverno- inizio primavera, prima della comparsa dei fuchi), vi sarà perdita di alveari e NON per effetto di inefficacia degli acaricidi. Quindi si può parlare di responsabilità degli apicoltori, che continuano a ignorare queste dinamiche che si verificano sotto i loro occhi. Secondo, se invece si allude alla reinfestazione, allora anche qui la responsabilità è del settore, perché in assenza di coordinamenti territoriali per i trattamenti e in presenza di fai-da-te e altre amenità, la reinfestazione tardo estiva/autunnale rovinerà il lavoro di profilassi messo in atto da apicoltori capaci. Quindi, comunque la giriamo, vi sono delle responsabilità del settore e andrebbero dichiarate. La semplificazione purtroppo non giova. La situazione è grave ma non è seria, come diceva Flaiano.

  2. Allo stato attuale noi abbiamo un mestiere straordinariamente affascinante quanto difficile – quello dell’apicoltore – che si confronta con uno scenario ecologico e sanitario tragico. Il punto è che questo mestiere, nel quadro attuale, ciascuno lo può interpretare come meglio crede. E le associazioni di categoria, anziché raccontare la verità ai propri associati, molto spesso operano una sorta di “voto di scambio”: cioè io associazione ti dico quello che tu apicoltore vuoi sentirti dire, e tu apicoltore continui a permettere ai “monarchi” che ti rappresentano di regnare. Ovvio che così non si va da nessuna parte. Questo stato di cose soffoca il confronto sui problemi reali e la nascita di possibili soluzioni. Io sono certo che se alcuni individui competenti e qualificati, trasversali a tutte le riviste, associazioni, cooperative apistiche, si associassero per fare davvero gli interessi delle api e degli apicoltori e non i propri, le soluzioni si troverebbero in quel tavolo di discussione sereno e pragmatico che si verrebbe a creare. Ma questo non è possibile perché ciascuno è geloso di posizioni ottenute e dei relativi vantaggi. Bisogna iniziare a dire la verità. E questa verità è in primis collegata alle responsabilità di chi possiede e conduce alveari. Quindi alle sue competenze, al livello della sua professionalità, formazione, aggiornamento etc. Noi stiamo dicendo che alcune cose non funzionano ma la mia esperienza mi porta a dire che non sono i prodotti farmaceutici che non funzionano (i quali in ogni caso hanno limiti, effetti indesiderati, sono perfezionabili e spero anche sostituibili) ma le teste. Questo va detto. Lavorando diversamente con ciò che oggi abbiamo, coordinandoci, potremmo già avere risultati enormemente più positivi, ma siamo divisi come ai tempi della Torre di Babele. E soprattutto c’è troppa spocchia in quei gruppi maggioritari che pensano di possedere la Verità rivelata, così come spesso c’è troppa superficialità e improvvisazione in chi li contrasta. Basterebbe già leggere e tradurre in indicazioni pratiche quanto la ricerca scientifica autorevole ha prodotto in questi anni, e qualcuno (pochi) divulgato. La ricerca di Di Prisco prima citata ne era un esempio. Gli apicoltori considerano solo ciò che vedono (la Varroa) e la contrastano (male) continuando ad ignorare tutto ciò che che si muove invisibile ma più pericoloso nei propri alveari. E questo la ricerca lo dice, ma i trattamenti varroacidi continuano ad essere concepiti come se la Varroa in se stessa fosse il vero problema, e non tutto ciò che essa amplifica e veicola.

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