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L’editoriale di Aprile 2017

L’Apicoltura ha bisogno di divisioni? C’è bisogno di Montecchi e Capuleti, famiglie in lotta fra loro e rese celebri da William Shakespeare in Romeo e Giulietta?
Fuor di metafora veniamo a noi occupandoci della diatriba fra hobbisti e professionisti, che imperversa nel nostro mondo. Una querelle che ha investito anche la redazione di Apinsieme. Ne parla Luca Tufano in un articolo dal titolo “Per fare l’apicoltore ci vuole mestiere, non improvvisazione”.
Tufano, fra le tante cose, ci dice che un apiario di dimensioni ridotte non comporta necessariamente una gestione “amatoriale”, nel senso negativo del termine; così come una gestione amatoriale non comporta, per forza, mancanza di competenze, scarsa formazione o altri difetti. Anzi…
Conclusione? È giusto affrontare il tema, muovendo alcune considerazioni. Come dobbiamo vederla? Innanzitutto, va precisato che, sovente, la quaestio non è posta nei termini adeguati, sia perché implicitamente o esplicitamente antitetica; sia perché con professionisti s’intende solitamente solo chi conduce aziende con qualche centinaio o migliaio di alveari e con un numero di dipendenti tipici di un’apicoltura intensiva. A mio avviso, è d’obbligo affrontare la discussione avvalendosi di termini nuovi, concentrandosi sugli apicoltori che sono in possesso di una partita Iva e che quindi si definiscono, per il diritto, imprenditori agricoli. Tra loro ci sono apicoltori che dall’apicoltura traggono un reddito secondario o primario ma che spesso, non necessariamente, gestiscono un numero elevato di alveari. Un apicoltore che si trova ad avere 40 o 50 alveari non può produrre verosimilmente per autoconsumo e di riflesso si aprirà al commercio, attivando una partita Iva e divenendo di fatto un imprenditore, pur se operante in regime fiscale di esonero.
Una considerazione. Anche se ora non siamo in grado di fornire il dato puntuale, allo zero virgola, sul numero delle partite Iva in apicoltura, la cifra più attendibile che circola recita che ne sono in possesso circa la metà degli apicoltori. Tutto ciò, ed è positivo, indica una forte presenza di imprese apistiche che fanno parte del tessuto apistico nazionale, grandi o piccole che siano.
Ciò presuppone che questi apicoltori sono in possesso di una professionalità o come meglio preferiamo dire noi di un mestiere. Insomma, è imperativo riaffermare che chi apre una partita Iva con le api non ci “vuole giocare”, e non cerca perdite economiche. Ma attenzione, non abbiamo nulla contro chi conduce un’apicoltura amatoriale o “domestica” perché questo approccio all’apicoltura non presuppone, a priori, scarse competenze. Di sicuro, però, anche con l’esperienza che ci deriva dalla nostra attività editoriale tra alcuni hobbisti sono più diffuse visioni personali e soggettive dell’apicoltura, che a volte significano trattamenti sanitari inefficaci o assenti.
Come che sia, siamo convinti che i due mondi abbiano pari dignità, che debbano parlarsi e travasarsi le loro esperienze: i contenuti della Rivista dimostrano ampiamente questa filosofia. In più, pensiamo che in questa nuova prospettiva possano giocare un ruolo centrale gli imprenditori, piccoli o medi, che sono passati da un’apicoltura amatoriale (non hanno ereditato l’azienda apistica) a una professionale. Per farla breve, professionalità non vuol dire assenza di passione per l’ape e hobbismo non indica dilettantismo.
Il finale? Non come quello di Giulietta e Romeo, ma una salda unione fra le due figure, in fondo si vogliono bene e si rispettano, per far cresce l’apicoltura tutti insieme.

Massimo Ilari

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