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L’APE NON E’ UNA MUCCA DA MUNGERE

l’editoriale di Massimo Ilari, Apinsieme Giugno 2020

Il 20 maggio 2020 si è tenuta la Giornata Mondiale delle Api.

Devo confessare di non avere una particolare simpatia per le ricorrenze di questo tipo, visto che, sovente, si trasformano in stereotipate evocazioni che non producono effetti sostanziali.

Ritengo, e con noi lo ritengono non pochi apicoltori, che la Giornata delle api si debba festeggiare tutti i giorni, rispettando soprattutto l’ape e la sua salute. Evitando così vergognose forme di sfruttamento: l’ape non è una mucca da mungere. 

Ma quando e chi l’ha presa la decisione di scrivere sul calendario una ricorrenza in cui gli impollinatori occupano una casella?

Tutto parte il 18 ottobre 2017. Quel giorno l’Assemblea generale delle Nazioni Unite (ONU), stabilì che il 20 maggio di ogni anno si festeggiasse la Giornata mondiale delle api. Perché il 20 maggio? Non è casuale: corrisponde con l’anniversario della nascita di Anton Jansa (1734-1773), allevatore e pittore sloveno che è considerato il pioniere delle moderne tecniche di apicoltura.

Non a caso è proprio la Slovenia che ha dato il là con maggior impeto alla celebrazione. Quale il messaggio? L’obiettivo è ricordare che il genere umano dipende dalle api e che la loro protezione dovrebbe essere un imperativo categorico per tutti noi.

Che si debba scomodare Kant per ribadirlo, vuol dire che non si hanno molto a cuore gli equilibri della natura.

La dimostrazione che le cose stanno proprio così ce lo mostra la pandemia, COVID 19, che ha messo in ginocchio il mondo, senza distinzioni geografiche ed economiche di partenza.

La prova? Non sono pochi gli scienziati che mettono in relazione l’inquinamento ambientale con il crescente diffondersi di virus.

La morale? Usiamo la Giornata mondiale delle api ribadendo che gli insetti impollinatori ci “servono come il pane”.

Gli impollinatori garantiscono quella biodiversità che tiene lontani i virus e che assicura produzioni elevate, che mentre scrivo proprio non si vedono. In più, occorre rimettere al centro una filiera produttiva e distributiva che va rivalorizzata, dato che per quello che abbiamo ricordato nell’incipit ha una rilevanza di primo piano sul piano ambientale, sociale ed economico.

Va in questa direzione la recente campagna “Save the queen” (vedi pag. 55) lanciata da Legambiente per sensibilizzare opinione pubblica e istituzioni. Si tratta di una raccolta di firme, la meta è di 1 milione entro settembre, per chiedere alla Commissione europea di avviare un modello agricolo che da un lato sia in grado di tutelare la biodiversità e dall’altro riduca drasticamente le sostanze pericolose ancora oggi usate in agricoltura, facendo in modo che siano totalmente eliminate entro il 2035. Abbiamo davanti 15 anni per dimostrare che siamo ancora degli esseri pensanti.  La Campagna non prevede solo la raccolta firme.

È prevista la mappatura capillare della penisola con l’intento di individuare pesticidi e metalli pesanti attraverso le api (in collaborazione con la start up Beeing); l’incremento degli orti urbani per rendere le città più sostenibili. Infine, sono state coinvolte aziende agricole per la salvaguardia e l’incremento di api e insetti pronubi nei territori e la creazione di una rete di Comuni amici delle api (vedi pag. 55) e di una rete di Parchi “Save the queen”.

In più, come dimenticare che il mercato del miele sta attraversando tempi bui? La lista delle ragioni è lunghissima, proviamo ad affrontarne qualcuna che consideriamo più rilevante. In primis, gli apicoltori stanno facendo i conti con la riduzione delle fioriture, dovuta alla crisi ambientale che si fa sempre più sentire e che mostra quanto sia indispensabile intervenire, come ampiamente delineato sopra.  Qualche dato non guasta. Nel 2019, la produzione del miele italiano è stata valutata in 15 mila tonnellate, con un calo del 31,8% rispetto all’anno precedente (22 mila nel 2018) – Osservatorio Nazionale del Miele). Evidente il calo della produzione di miele di acacia, di agrumi e delle altre tipologie primaverili. Un deficit produttivo che ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) ha valutato in più di 73 milioni di euro per le varietà di miele cui abbiamo già accennato. Inquietante anche il calo dei consumi e dei prezzi. Un dato su tutti: negli Iper troviamo mieli di Acacia e di Agrumi a 6 euro al chilogrammo, prezzi che ci danno anche la cifra sulla penetrazione dei mieli esteri nella Grande Distribuzione Organizzata. Non credete sia giunto il momento di reagire?

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