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UN ANNO NERISSIMO

di Massimo Ilari

L’editoriale del numero di Ottobre 2021

2021 verrà ricordato come un anno nerissimo per l’apicoltura italiana. La produzione nazionale ha fatto registrare un crollo del ben 30%. Le ragioni? Beh, da qualche anno sono sempre le solite e nonostante ciò non si prendono gli adeguati provvedimenti.  È chiaro che le patologie dell’alveare fanno sempre la parte del leone e l’apicoltore si trova a fare fronte a spese sempre crescenti, che portano a un gramo reddito alla fine della giostra e alla chiusura di numerose attività.

Poi, c’è il clima pazzo, più noto come cambiamento climatico: siccità, bombe d’acqua, grandinate, gelo in piena primavera. E non certo ultimo l’inquinamento ambientale che insieme al clima sta impoverendo i pascoli delle api.

Sul giornale abbiamo più volte detto che non può essere il singolo apicoltore a condizionare il mercato internazionale del miele, a tale proposito abbiamo sostenuto che l’apicoltore italiano dovrebbe fare sistema. Ma constatiamo che le solite gelosie ostacolano il ricompattarsi del fronte apistico nazionale e oltretutto ci chiediamo, visto che ormai molte questioni agricole, ambientali ed economiche si risolvono attraverso organismi sovranazionali, se la possibile soluzione non sia da ricercarsi in una maggiore collaborazione tra Stati europei.

Ad esempio, la questione del miele cinese venduto come europeo, e dunque capace di arrivare attraverso il mercato unico anche in Italia, difficilmente riteniamo possa essere contrastato da un solo Paese, mentre almeno nei confronti di mieli extra UE ci si attenderebbe una politica comunitaria che tuteli l’apicoltura europea. Forse allora all’interno di quel perimetro che costituirebbe una limitazione del problema si potrebbe ragionare sulla valorizzazione delle produzioni locali. Certamente, i segnali che dall’Unione Europea arrivano negli ultimi tempi, pensiamo alla questione del “Prosek” croato, non lasciano ben sperare.

Si cerca di confondere le acque parlando, poi, solo di biodiversità e api, dimenticando che occorre attuare progetti strutturali di modifica dei nostri sistemi di produzione agricola per invertire la rotta. Nel caso degli apicoltori il problema è duplice perché da un lato subiscono la perdita di biodiversità negli habitat agricoli e naturali; dall’altra però sono alcuni apicoltori a impoverire la biodiversità, favorendo l’inquinamento genetico delle sottospecie di api da miele a causa di un mercato di api vive sconsiderato e che punta unicamente al profitto. E non succede solo in Italia.

La situazione in Europa e nel resto del mondo non è certo tra le migliori e anche il miele d’importazione sta subendo un crollo non da poco, lo segnaliamo come dato, visto che noi siamo per il Miele Italiano e per gli apicoltori di casa nostra.

Secondo i dati Istat solo negli ultimi tre anni il miele d’importazione transitato nel nostro Paese è passato da 27 a 22 milioni di chili, il 20% in meno. Ma scattando un’istantanea sul miele straniero che arriva, passando dalla frontiera, sulle tavole dei consumatori c’è da dire che circa la metà viene dall’Ungheria. Pensate è diventato il nostro primo fornitore e in media paghiamo il miele 3,5 euro al Kg.

Poi, c’è Spagna: prezzo di 2,6 euro al chilo. E la Cina? Ha registrato un vero e proprio crollo finendo al terzo posto nella speciale classifica dei nostri fornitori. Prezzo del miele? 1,38 euro per chilogrammo. Un quadro sempre più complesso, difficile da decifrare, e dietro il quale ci potrebbe essere la pratica della nazionalizzazione di miele cinese venduto per europeo, che potrebbe nascondere la contraffazione del miele cinese venduto sotto banco come europeo, chiamiamolo “tuffo doppio carpiato”. Oppure, ci potrebbe essere miele europeo commercializzato come italiano.

Per carità, si tratta solo di ipotesi suggerite da calunniatori di professione, ma…

(scarica l’editoriale in pdf)

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