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I trattamenti antibiotici danneggiano la salute delle api

Nel nostro Paese, come noto, i trattamenti con antibiotici in apicoltura non sono consentiti e pertanto chi somministra questi farmaci commette un’azione illegale e sanzionabile. Inoltre, viene spesso ricordato che tali trattamenti possono inquinare le matrici dell’alveare e contaminare i prodotti apistici, con conseguenze anche per la salute umana. La farmacoresistenza agli antibiotici è un fenomeno in aumento che comporta gravi rischi per la salute umana e animale, e tale effetto è prodotto in larga parte dalle percentuali di antibiotici presenti negli alimenti e derivanti da pratiche zootecniche. Premesso ciò, ho sempre affermato di essere radicalmente contrario all’uso di antibiotici in apicoltura per ragioni tecniche e scientifiche, e sempre lo sarò, anche in presenza di ipotetici cambiamenti futuri del quadro legislativo, poiché considero tali trattamenti non solamente inutili ma peggio dannosi per la salute delle api.

A sostegno della mia tesi, il 14 marzo di quest’anno è stata pubblicata su Plos BIOLOGY una ricerca dell’Università americana del Massachussets[1] che dimostra come gli antibiotici possano danneggiare il microbiota delle api e renderle pertanto più suscettibili ai parassiti.

Nel tratto intestinale delle api, così come in altri animali, è presente una popolazione di batteri simbionti, denominata microbiota, che svolge un ruolo fondamentale per la salute dell’ospite. Un’alterazione di questa popolazione, sia rispetto alle dimensioni che alla sua struttura, può avere impatti negativi per l’organismo animale, uomo o ape che sia. In apicoltura, gli antibiotici sono spesso utilizzati (illegalmente in Italia, legalmente in altri Paesi, come gli USA, in Argentina e altrove) per prevenire infezioni batteriche della covata, ma non era stato fino ad oggi chiarito l’impatto di questi trattamenti sul microbiota e la possibilità di una disbiosi (squilibrio microbico) indotta dagli antibiotici, con conseguente maggiore suscettibilità ai patogeni.

Raymann e colleghi hanno valutato gli effetti dell’esposizione ad antibiotici sulla dimensione e sulla composizione del microbiota delle api. A tal fine, è stata anche monitorata la sopravvivenza delle api trattate così da poter determinare se la disbiosi intestinale avesse impatti sulla salute delle api, avvantaggiando i parassiti opportunisti. I risultati mostrano che il trattamento con antibiotico può avere effetti persistenti sia sulle dimensioni che sulla composizione del microbiota, provocando anche una diminuzione dell’aspettativa di vita dell’ape e rendendo l’ape più suscettibile ai patogeni. Nell’esperimento è stata testata la tetraciclina, un antibiotico ad ampio spettro utilizzato per le batteriosi della covata (in particolare Peste americana e europea) e capace di esplicare la propria azione sia verso batteri Gram-positivi che Gram-negativi, il che implica la capacità di influenzare un numero maggiore di membri della comunità batterica intestinale. I ricercatori americani scrivono: «Come previsto, abbiamo osservato cambiamenti sostanziali nella composizione e nelle dimensioni della comunità microbica intestinale in seguito al trattamento con tetracicline. […] Abbiamo scoperto che le api trattate con antibiotici e restituite all’ alveare avevano un’aspettativa di vita inferiore rispetto alle api non trattate. Diversi studi hanno evidenziato un ruolo del microbiota intestinale dell’ape nella protezione contro gli agenti patogeni Tripanosomatidi [famiglia di protozoi flagellati parassiti delle piante e degli animali, tra cui compare la tristemente famosa Crithidia mellificae, responsabile di un’elevata mortalità di alveari in Belgio qualche anno fa – N.d.T.]. Uno studio recente ha dimostrato che la composizione delle popolazione dei batteri simbionti intestinali delle api influenza la suscettibilità alle infezioni da parte del patogeno tripanosomatide denominato Lotmaria passim, fornendo la prova che la disbiosi intestinale promuove la diffusione del patogeno[2]. Abbiamo rilevato elevati livelli di due gruppi di batteri, Serratia e un non classificato Halomonadaceae, in api trattate campionate dall’alveare; questi potrebbero rappresentare patogeni opportunisti in grado di invadere l’intestino dell’ape come risultato della perturbazione antibiotica. […] La disbiosi può portare alla crescita eccessiva e improvvisa di patogeni opportunisti (patobionti) già presenti nell’intestino. Le alterazioni del microbiota possono influenzare l’espressione genica, l’attività delle proteine e il metabolismo intestinale nel suo insieme. Per esempio, i cambiamenti nella struttura della comunità microbica possono alterare l’apporto di sostanze nutritive o di metaboliti secondari e inibire la rimozione di metaboliti tossici. L’analisi metagenomica di colonie che manifestavano Colony collapse disorder (CCD), ha mostrato un aumento di G. apicola, F. perrara, S. alvi e Lactobacillus e una diminuzione di Alphaproteobacteria e bifidobatteri rispetto a alveari sani».

Risulta pertanto molto chiaro dal lavoro di Raymann e colleghi come gli antibiotici siano capaci di alterare sensibilmente il microbiota e pertanto favorire la proliferazione di patobionti, con conseguenze negative per la salute dell’alveare. La perdita di alveari può dunque dipendere anche dall’uso di antibiotici che sono in grado di favorire pericolosissimi parassiti intestinali come Crithidia mellificae o Lotmaria passim, un dato che dovrebbe universalmente indurre a classificare l’uso di antibiotici in apicoltura, al di là degli aspetti legali e normativi, come una pratica dannosa per le api e quindi tecnicamente scorretta.

Luca Tufano (tufano@apinsieme.it)

[1] Raymann K, Shaffer Z, Moran NA (2017) «Antibiotic exposure perturbs the gut microbiota and elevates mortality in honeybees». PLoS Biol 15(3): e2001861. doi:10.1371/journal.pbio.2001861

[2] Per questi patogeni, vedi Ravoet e colleghi (2015) «Differential diagnosis of the honey bee trypanosomatids Crithidia mellificae and Lotmaria passim». N.d.T.

 

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