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L’editoriale di Marzo 2023. Sostenibilità non fa rima con qualità

L’editoriale di Massimo Ilari

Paolo Paolini, sul Corriere della Sera, parlava nel lontano 1975 di «Scomparsa delle lucciole». Leggiamo che cosa c’è dietro un’affermazione così perentoria. “Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani sé stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta”.
In tempi a noi più vicini, sul Foglio del 2 settembre 2009 Sofri scrive: «Ho riletto in questi giorni l’Armata a cavallo di Babel. Ha previsto la scomparsa delle api e degli ebrei dal 1924!». E la denuncia ha un altro illustre rappresentante «Un uomo può essere nemico di altri uomini, di altri mo-menti, ma non d’un paese: non di lucciole, di parole, di giardini, di corsi d’acqua, di tramonti» gridava Jorge Luis Borges, Finzioni, 1944. Voci nel deserto. E sì, una volta c’erano intellettuali che partecipavano al sociale e che mette-vano sul banco degli imputati l’industrializzazione senza regole, l’agricoltura intensiva basata sull’eccesso della chi-mica tossica, la tecnologia, l’inquinamento ambientale.
Su questi temi non abbiamo fatto passi in avanti da gigante, allora come oggi questi temi pesano come macigni sul futuro del Pianeta e dunque su quello di tutti gli organismi viventi. Sbalordisce l’indifferenza della gente comune, così George Orwell definisce il popolo. Un dialogo rubato dal giornalaio. L’edicolante: “Signora c’è un inserto gratuito ‘Pianeta 2030”, dedicato all’ambiente”. E lei? “Per carità, sono favorevole all’ecologia ma leggerne mi angoscia”.
È sicuro che ci fu il tempo dei ribelli. La nostra è solo l’era degli scontenti che genera desideri e dipendenza, non certo impegno. Ha ragione Kathryn Schulz, scrittrice e Premio Pulitzer del New Yorker, quando afferma che “Bisogna curare le cose fragili, alcune le perderemo per sempre. Nulla è peggio dell’indifferenza”. Sì curare le cose fragili e trascurate, soprattutto la ‘Qualità’ degli alimenti che portiamo in tavola. L’ha capito benissimo Marcello Veneziani nel suo “Scontenti”, Marsilio editore, pagine 174, euro 18,00.
Si attacca la strategia pubblicitaria delle grandi aziende alimentari che non vantano più la qualità dei prodotti ma il fatto che siano ecosostenibili; non contano i gusti alimentari o la resa, ma solo la buona coscienza ecologica. I prodotti sono elogiati perché biodegradabili, segno tangibile delle aziende a ridurre l’impatto ambientale dei rifiuti derivati. Il pregio del food è che non nuoce all’ambiente, non sale in cattedra la “Qualità” del prodotto, ma sono soprattutto i rifiuti ecosostenibili che ne derivano a prendersi la scena. L’ecosostenibile come leggerezza dell’essere. Diciamolo chiaro, messa solo così è un’autentica scemenza. Non si può ignorare la qualità di ciò che mettiamo nel carrello, accertando che cosa contengono i cibi e che cosa vi si aggiunge nelle diverse fasi di trasformazione. Le lucciole e le api muoiono perché i metodi agricoli sono basati sulla chi-mica tossica e il metodo biologico stenta a diventare prioritario. E poi mancano i controlli, non solo nel Terzo Mondo ma anche nei paesi cosiddetti civilizzati. Siamo 8 miliardi, resta difficile capire chi attuerà quei controlli che neppure in Europa si fanno in modo soddisfacente. Solo con l’ecosostenibilità non si va da nessuna parte e i prodotti delle api dovrebbero essere usati dal nostro comparto per invertire la tendenza. Ha ragione lo scienziato Franco Berrino «Assumiamo sempre meno cibo naturale. L’alimento ultra lavorato dall’industria rappresenta ormai più della metà di quello che si mangia in Nordamerica e il 25-30% del cibo europeo. Risultato? Più ne consumiamo più ci ammaliamo e rischiamo di morire di diverse patologie. Di cosa si tratta? Di tutti i cibi pronti da scaldare al microonde, di tutte le minestre in busta o in scatola, dei cibi raffinati, della pasticceria industriale, di bevande industriali, sia quelle zucche-rate sia le “zero”, dei salumi, wurstel, carni in scatola, snack dolci e salati, sostituti del pasto per dimagrire, di gran par-te dei pani confezionati, dei cibi trattati con additivi sintetici, coloranti, conservanti, emulsionanti… A parità di età e di altre cause di morte, chi ottiene metà delle calorie che consuma da questi cibi aumenta la mortalità del 40% rispetto a chi ne mangia raramente». Insomma, come si faccia a chiudere gli occhi di fronte alla qualità rimane un mistero.


(foto pixabay/OpenClipart_Vectors)

Apinsieme
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